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Immagine del redattoreDt. Nappo Davide

E' POSSIBILE FORMULARE UNA DIAGNOSI FISIOTERAPICA DELLA CORSA?


Negli ultimi anni la corsa ha visto un rapido incremento di popolarità come attività di fitness generico, ma anche a livello agonistico, con un continuo aumento di partecipanti a gare di vario genere, specialmente sulle lunghe distanze. Nonostante sembri un'attività assolutamente naturale, correre richiede adattamenti specifici del nostro sistema di movimento ed è condizionata dalle qualità fisiche, dalle proporzioni corporeee e dagli schemi di movimento tipici di ogni singolo soggetto. Non è quindi scontato che ognuno di noi, correndo in maniera spontanea, corra in modo efficiente. Lo dimostrano le percentuali d'infortuni di cui soffre chi pratica regolarmente la corsa e anche la stagnazione delle prestazioni che si verifica in alcuni atleti, anche d'elite, nonostante una corretta gestione dei programmi d'allenamento.

In realtà ogni persona che corre, lo fa con un pattern di movimento che percepisce come spontaneo, ma ciò non significa che il suo gesto sia ottimale e corretto. Spesso alcuni deficit di forza o di elasticità di alcuni gruppi muscolari, così come alcune variazioni strutturali vengono sottovalutati; all’aumentare del volume d’allenamento lo schema di movimento che un determinato soggetto utilizza per correre viene costantemente rinforzato e, se questo è scorretto, non si fa altro che consolidare un fattore di rischio che nel tempo può determinare microtraumi che poi degenerano in macrotraumi e problematiche da sovraccarico.

Nonostante al momento in letteratura non vi siano forti evidenze che la causa degli infortuni risieda unicamente in una meccanica del gesto scorretta, ma molto probabilmente anche in variabili strettamente legate ai volumi e alle intensità d’allenamento, esistono studi che hanno messo in relazione variabili del pattern di movimento della corsa con una determinata lesione tissutale: tra questi, in un lavoro abbastanza recente è stato possibile verificare la presenza di correlazione tra un’aumentata rotazione interna e adduzione dell’anca con la manifestazione dei sintomi della sindrome della bandelletta ileotibiale in un gruppo di runners donne. In altri studi, invece, è stata verificata una differenza nel carico funzionale di ginocchio e caviglia in soggetti con “stili” di corsa e d’appoggio differenti.

In caso di infortunio o sindromi da sovraccarico, tutte le terapie, siano esse fisiche o manuali, possono aiutare il processo ripartivo e correggere alcune alterazioni tessutali, ma per evitare ricadute è essenziale individuare quale sia stata la causa del problema.

I fisioterapisti dovrebbero essere in grado di valutare le alterazioni degli schemi di movimento dei loro pazienti infortunati per incorporare nei loro piani di trattamento interventi specifici e modificazioni dello schema del passo che possono aiutare a ottimizzare il grado di sollecitazione su un tessuto. Secondo la letteratura mpostare un programma di retraining muscolare specifico in base alla disfunzione riscontrata, sembrerebbe essere efficace nel modificare automaticamente alcune variabili cinematiche della corsa.

Nonostante alcune evidenze con notevole ricaduta clinica per il fisioterapista, ad oggi metodi efficaci e pratici di valutazione funzionale della corsa da impiegare in un contesto clinico sono ancora poco conosciuti e utilizzati: il problema principale che si riscontra nella valutazione del gesto della corsa è dato dal fatto che i parametri meccanici sono difficili da individuare in un contesto clinico, in quanto la corsa è un gesto complesso che avviene in tempi molto rapidi. Molti degli studi sulla biomeccanica della corsa presenti in letteratura si concentrano soprattutto su parametri quali ampiezza del passo, angoli articolari, attività elettromiografica dei muscoli e tempi di contatto al suolo in relazione a differenti pattern d’appoggio.

Dal punto di vista riabilitativo sarebbe importante, invece, riuscire a costruire un esame sistematico per verificare la correttezza di alcune variabili del pattern della corsa per capire quali schemi motori vengono utilizzati da un determinato soggetto per realizzare e gestire:

1. I meccanismi d’avanzamento

2. L’ammortizzazione degli impatti.

Sulla base di questa valutazione che deve tenere conto di numerosi fattori da valutare in dinamica e non in statica, si puo formulare una diagnosi funzionale della corsa e prescrivere un programma di allenamento e correzione del gesto.

Ad esempio, il fatto che la tibia si trovi in posizione verticale nello spazio al momento del contatto con il terreno è un requisito per ottimizzare ammortizzamento e strategie di avanzamento in quella fase del ciclo di corsa. Allo stesso modo una rigidità eccessiva dei flessori dell’anca può limitare l’estensione richiesta per completare la fase d’avanzamento del baricentro sulla base d’appoggio al termine dello stance. Questi due deficit corrispondono a diagnosi funzionali molto diverse e richiedono strategie correttive diverse fra loro.

Invece troppo spesso nella valutazione della corsa purtroppo è' abitudine diffusa quella di concentrarsi soltanto sull’analisi dei movimenti del piede e sull’influenza delle calzature nel modificare i pattern motori e l’attività dei muscoli. Non bisogna invece dimenticare che è necessario valutare l'equilibrio funzionale di tutto il corpo che corre: ad esempio bisogna considerare che la potenza per l'avanzamento nella corsa viene primariamente dall'anca e che la stabilità del bacino è un tema molto importante perchè un deficit del controllo dinamico della parte superiore del corpo può indurre a distanza carichi anomali e torsionali sulla catena cinetica dell’arto inferiore, costituendo un fattore di rischio per lo sviluppo, ad esempio, di tendinopatie.

A tal proposito, Roger A. Mann et al. hanno verificato che gli addominali giocano un ruolo chiave nei cambiamenti di velocità: negli sprinter risultano attivi per più del 60% del ciclo della corsa. Gli addominali e i muscoli della colonna di un corridore devono quindi essere allenati non solo alla forza o alla resistenza, ma sopratutto al controllo delle rotazioni del bacino indotte dal moto degli arti inferiori, all’aumentare della velocità.

Ovviamente l'efficienza del ciclo della corsa è fondamentale non solo per la prevenzione/soluzione degli infortuni, ma anche per la performance. Tutto questo bagaglio d’informazioni dovrebbe essere strutturato all’interno del ragionamento clinico dei professionisti della riabilitazione ma anche nei programmi di allenamento di coloro che inseguono un risultato prestativo a qualsiasi livello perché solo attraverso il riconoscimento di specifici deficit è possibile suggerire strategie di miglioramento o esercizi specifici per la soluzione di uno specifico problema, senza incorrere in squilibri o compensi in altri distretti.

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